mercoledì 30 novembre 2011

TEMPO DI CACHI (e merende)

I cachi a me piacciono tanto...
A Liubo, la mia nonna materna, invece non piacquero. Era albanese, della colonia albanese di Zara.
tratto da Caffè a colazione 
Eccola qui ritratta accanto al nonno (l'altra coppia di nonni mai la conobbi), che era invece italiano ma dai confini austriaci, mitteleuropei (che non sono a contrasto con turchi e albanesi, si capisce bene, se si legge la storia e si beve caffè).
Venne da Zara durante gli ultimi anni di guerra, sfollata con le figlie girando per il nord-Italia...
Non so dove accadde, forse presso una figlia che abitava col marito nella campagna di Voghera. Ricordate, siamo in tempo di guerra, nessun dolce, zuccheri, leccornie... tempi duri, anche se in campagna meno duri.
In visita a vicini di campagna, alla nonna fu offerto il caco (amici mi segnalano che a loro piace più loto, ma per me è caco al singolare e cachi al plurale, che a volte vale anche per il singolare).
Bello, arancione, servito in una coppetta come un dolce, col cucchiaino... confessò che non lo aveva mai mangiato e, quando le chiesero come le sembrasse, la mia cortese ma sincera nonna rispose: "No xè velen", non è veleno.
Spero fosse un cachi vaniglia, che non amo, perché gli altri...
La frase "No xè velen" è storica ormai in famiglia, Camilleri ne avrebbe scritto meglio di me ne Il gioco della mosca... "No xè velen" l'abbiamo usata per tutto quello che ci faceva piuttosto schifo, ma agli altri piace e dirla, vi assicuro, dà soddisfazione, provate.


Il bello di questo frutto che è già bellissimo per come matura arancione e rotondo su rami spogli, neri e infreddoliti, il bello è che è un dolce, è buono e che... dura poco. Stiamo avendo mele, pere, fragole tutto l'anno, persino di uva se ne trova un po' sempre, i cachi no, come i fichi, buoni e ribelli, poveri.
Se non valgono molto non vale la pena fare serre e altre delicatezze... è un po' come la povera industria del fumetto rispetto a quella ricca del cinema o della tv...
Il cachi mi piace tanto anche per questo: perché, come il tempo, cacus fugit.

Nel libretto "Merende e merendine" (che potete comperare in questi giorni prenatalizi persino scontato – fine intervallo pubblicitario) non parlo tanto di mangiarsi il caco lì per lì, che invece è una merenda buona e pronta, ma di fare il BUDINO DI CACHI che è una mia variante da un assaggio fatto in un ristorante.
Il ristorante è La Libera, di Milano (mi pare via Palermo, incrocia corso Garibaldi), è uguale dai primi anni 80 (e forse prima, ma parlo di mia memoria).
Caretto e a volte troppo frettoloso nel cacciarti. Basta andare presto e prendersi il tavolino giusto, e si mangia bene... e poi caposala e un cameriere con la faccia troppo simpatica, che bisognerebbe mettere in un fumetto, sono lì da sempre, invecchiando lentamente, sono il mio specchio... ci si saluta con sguardo affettuoso anche dopo anni che non ci si vede.
Alla Libera mangiai il budino di cachi, che era fatto con panna montata, si sentiva e forse chiesi conferma... la panna montata è amica naturale del cachi, sosteneva una mia amica...
Io però, che adoro la panna, preferisco mangiarla sola, quelle poche volte che me la concedo, e deve essere buonissima!
In ogni caso andrebbe montata e questo è una rottura, ma anche un gusto un po' stucchevole (e ci porterebbe a una bavarese).

Torniamo a noi, ai cachi e alla ricetta.

BUDINI DI CACHI

facile e veloce, abbisogna solo del frullatore a immersione (l'unico robottino che amo e venero)!
x 4 o 6 persone (dipende da quanto golose)

Ingredienti

• 3 grossi cachi maturi (quelli teneri, NON i vaniglia)
• 2 hg o anche meno di ricotta (pecora è meglio, ma tutta purché buona), diciamo 1 grosso cucchiaio colmo per ogni caco.
• 2 fogli circa di colla di pesce o gelatina o equivalente (mezzo foglio circa per caco)
• 3 cucchiaini di zucchero, o di più se piace molto dolce... (1 cucchiaino ogni caco)

Esecuzione

• Pelare i cachi e in una grossa ciotola a bordo alto mettere la polpa (senza pelle e senza semi)

• Intanto in una tazza d'acqua calda (non bollente ma ben calda) lasciare in ammollo la gelatina in fogli, mescolando ogni tanto con un cucchiaino perché si sciolga.
• In una ciotola grande mettere la ricotta e mescolarla un poco, assieme ai 3 cucchiaini di zucchero.
• Col frullatore a immersione rendete omogenea la polpa dei cachi (verrà liquidetta).
• Unirvi la gelatina sciolta nell'acqua (controllate bene e mescolate, affinché sia ben sciolta).
• Unire cachi+gelatina alla ricotta, mano a mano, in modo da far ben legare le due entità...
(e non come ho fatto io bestemmiando per i grumi, dopo che avevo già tirato giù i santi accorgendomi che avevo lasciato il frullatore da amici e usando dunque un metodo tribale per dissolvere la polpa...).

• Continuare finché è tutto omogeneo, se volete controllate la dolcezza (ma il sapore poi si trasforma un po').
• Versate in stampini usa e getta di alluminio, in stampini di alluminio eterni, in ciotole di ceramica, in qualsiasi contenitore non poroso...


• mettete in frigo, già dopo un'ora sono commestibili (dunque potete prepararli prima della cena... ora che si finisce di mangiare son belli pronti), meglio qualche oretta... e volendo anche il giorno prima... o due!
• Rovesciate e op! mangiate... (volendo guarnite con scaglie di cioccolata...)


Ecco, ho fatto in tempo a scriverla mentre i cachi li trovate ancora. È facilissima, dietetica (quanto a dessert), sana e soprattutto buona, ma anche carina e, come i cachi, scalda il cuore!

Occorre leggere dunque una storia dolce e d'amicizia?
No, perché il caco potrà addolcirvi il finale di questo libro che parte ingannatore, come una di quelle storie femminili di amori dispersi, di donne abbandonate e innamorate, di piccoli drammi di coppia e matrimonio... e invece è altro, è la tragedia mondiale che si presenta sotto la netta scrittura femminile azzurro pallido.

giovedì 10 novembre 2011

BUON SAN MARTINO (infatti c'è il sole)

Oggi (questa sera è la vigilia e la festa è domani... ma come sempre è la vigilia che conta) è San Martino.

Chi da bambino non ha letto la sua storia?
Il santo, che era un cavaliere romano e che divise con un colpo di spada il suo mantello (a ruota) per coprire un povero. Insomma l'inventore del mantello a mezza-ruota, ma anche dell'estate indiana, da noi detta – appunto – di San Martino. Perchè appena rovinato il suo bel mantello, uscì il sole a riscaldarlo.
Un inno alla carità (e il sole per il poveretto che gelava invece non era uscito, NB)...


San Martino però è anche il vino nuovo, a circa o poco più di un mesetto dalla vendemmia il mosto s'è fatto vino. Anche Carducci lo ricorda...


La nebbia agli irti colli
piovigginando sale,
e sotto il maestrale
urla e biancheggia il mar;

ma per le vie del borgo
dal ribollir de' tini
va l'aspro odor dei vini
l'anime a rallegrar.

Gira su' ceppi accesi
lo spiedo scoppiettando:
sta il cacciator fischiando
su l'uscio a rimirar

tra le rossastre nubi
stormi d'uccelli neri,
com'esuli pensieri,
nel vespero migrar.




Mese di caccia e selvaggina, mese di vino e castagne... 
Nel veneto si festeggia particolarmente, a Venezia e dintorni, non so in quante altre zone.


La cena di San Martino (che si fa oggi, ma io questa volta la sposto a domani a causa di una presentazione di libro a fumetti) consta in:


• Polenta, verze scaltrìe e maiale (piatto con mille varianti ritrovabile in tutti i paesi in questa stagione)
• Maroni arrosti (non i pendagli maschili, ovviamente, ma le castagne)
• San Martino in pastafrolla o in cotognata 
• Vino nuovo (il torbolin, vino ancora mostoso, è ormai alla fine, ma se ne possono bere gli ultimi bicchieri in questa occasione).


Come vedete cena semplice, ma sostanziosa e molto autunnale.

Domani il mio menù avrà delle varianti:
Minestra di castagne, funghi e ceci
Verze scaltrìe con salsiccetta
SAn Martino e maroni
Torbolin... rosso (una stranezza)


Qualche ricetta da menù ve la dirò, per ora vi spiego il San Martino, aiutandomi con quello che ho comprato in una pasticceria veneziana, assai buona, ma di scarsa estetica per il sanmartino. Spero domani di farne uno con le mie manine.


Ingredienti


Ingredienti per una crostata di 24-26 cm di diametro:
• 240 gr di farina
• 160/180 gr di burro
• 80/100 gr di zucchero
• due tuorli d'uovo (o 1 intero e 1 tuorlo)
• un cucchiaino di lievito in polvere




Esecuzione

• Impastare rapidamente farina e zucchero e lievito (+ un pizzico di sale), con le uova e il burro freddo a tocchetti.
• Tutto deve essere ben amalgamato, ma non troppo lavorato. Si tratta di una pasta frolla "matta" che ha un poco di lievitazione.
• Lasciar riposare al fresco, poi stendere non troppo sottile e mettere in una teglia ben imburrata.
• Avrete ritagliato dalla carta la figura del sanmartino. A cavammo, con mantello, elmo (meglio piumato) e spada estratta e ritta (senza doppisensi).
• Appoggiate la carta sulla frolla stesa e con la punta di un coltellino ricavatene la sagoma. Con gli avanzi potete fare biscotti o ornare l'elmo e l'impugnatura della spada. ATTENZIONE il Santo a cavallo deve essere bello cicciotto sennò si brucia  e si mangia poco...
• Infornare a calore medio finché è cotto.
• Mettere su un vassoio e ornare con: cioccolata fondente fusa, glassa se vi piace, dolcetti e confettini, attaccati con miele o marmellata (certi potete metterli già prima della cottura).
• Servire e gustare col vino nuovo e facce sorridenti.

Un ricordo: a San Marino, a Venezia e in altre zone i bambini andavano in giro cantando e stonando, accompagnandosi con strumenti di cucina: pentole, coperchi e cucchiai d legno. I coperchi sbattevano tra loro o ronzavano se strusciati, come timpani e piatti. Le pentole diventavano tamburi rumorosi. Venivano premiati con soldini (e questo la dice lunga sulla tradizione che stiamo importando di "dolcetto/scherzetto" ufff). Informatevi qui .

S.Martin n’à manda qua
Perché ne fe la carità
Anca lu, co’l ghe n’aveva
Carità ghe ne faceva.


altre ne trovate qua 
ma io ricordo soprattutto questa: 

Ma si cantava anche 
San Martin xè andà sui copi (tetti)
a giustar i veri rotti (vetri)
veri rotti no ghe gera
San Martin xè andà per tera

San Martin xè andà in sofita
a trovar la sò novizza (fidanzata)
la novizza no ghe gera
San Martin xè andà per tera
Dunque che dire? festeggiatelo come potete, ricordatevi dei bambini, delle castagne e del vino... e dei poveri che sono sempre di più...


AGGIUNTA POST-UMA:
il mio San Martino, fatto a occhio e con zucchero di canna (quello vero, il Mascobado) e un cucchiaio di cacao Venchi. Pochi ornamenti a compensare quello esageratamente addobbato della pasticceria :)



E il libro da leggere? 
Tocca questa Zelda, anzi, SuperZelda (Fitzgerald) che mi fa spostare la vigilia di San Martino... a domani! Poi l'avrò in mano e leggerò, che mi incuriosisce la storia e anche i due autori, che conosco, ma che per la prima volta lavorano uniti e a un libro a fumetti... o gesù, mi scordo che sempre bisogna dire graphic novel ;)
(PS: letto anche il libro nel frattempo. E se vi aspettavate la vita romanzata, no! Nulla di tutto questo. Un'analisi dei fatti, delle frasi, dei rapporti, uno dopo l'altro, fino alla fine. Un vero saggio biografico a fumetti).

venerdì 4 novembre 2011

Tacchi dadi e DATTERI

Prima di tutto vi dedico i datteri uniti ai tacchi  ai dadi (ma dadi da gioco o da cucina?).
Poi parlo di datteri veri.
I datteri sono un alimento completo. Ho letto (sarà vero?), forse sulle notiziole della «Settimana Enigmistica», che si potrebbe campare solo di latte e datteri, che suona bene quasi quanto tacchi e dadi.
Latte e datteri, sembra un cibo da paradiso terrestre...


Io a Nizza, quest'estate, ho ricomprato una mia scoperta dell'anno scorso: la pasta di datteri. Altro non è che il dattero un po' seccato, privato del nocciolo e ridotto a impasto denso, una mattonella concentrata.
Il ragazzo che me l'ha venduto (al supermercato dove li avevo trovati nel 2010 non li tenevano più, e ho fatto tante domande a tunisini e marocchini che facevano la spesa, finché il negozietto a due passi me l'ha indicato un bar specializzato in frutta), il ragazzo dicevo, mi ha raccomandato una ricetta che fa la sua mamma, lui non sa come, composta di due strati di burgul con in mezzo la pasta di datteri. Diceva: "Questa sì è colazione al mattino! Altro che croissant! Tu va voir..." e c'ha ragione, cioè ce l'avrebbe se sapessi fare sta cosa col burgul, ma poiché ho un ottimo ricettario mediorientale indagherò.
D'altra parte è questo il modo più diffuso di usar questa pasta, la stessa ricetta me la raccomandò anche una vecchia francese seduta al mio stesso tavolino a bere tè alla menta.
Invece la giovane signora simpatica del bar con la frutta, mi disse che suo marito ci faceva delle pallette schiacciate tra due mezze noci. Dolce semplicissimo, che andrebbe elaborato meglio, ma buono.
La virtù del dattero è che è zuccherino, ma meno dolce di altra frutta secca. 


Io che son poco da gateau e dolcetti ho pensato bene di adattare la pasta da datteri alla mia cucina preferita, quella che unisce dolce e salato, carne e frutta. 
A casa della nonna (mia mamma aveva abbandonato questo piatto, in famiglia, forse a mio papà, veneziano, non risultava gradito) si mangiava pollo alle prugne (ricordate il libro/film della Satrapi?). Il Pollo a tocchi si cuoceva con pezzi di cipolla e prugne disossate... vedrò di rifarlo poi vi racconto...
Allora ecco l'invenzione, ispirata al Medio Oriente... caspita! Ma ho sognato che un indiano mi diceva che il curry non è sapore dell'India! Scusate, è stato un flash...


POLPETTE DI DATTERI E CARNE

Ingredienti
x 2 o 3 persone


• 4 hg. di carne trita di manzo, abbastanza magra
• un cucchiaio da minestra di curry (abbondare se non è troppo piccante)
• una fettina di pasta di datteri (equivalente a due cucciai rasi da minestra)
se non ne trovate, potete usare datteri secchi normali, pestandoli e frullandoli (togliete la buccia se troppo secca)
• una bella manciata di pinoli
• q.b. di sale, pepe, aromi e sesamo nero (a gusto)




Procedimento
• Tagliare a pezzetti piccoli la pasta di datteri, più è fresca più è morbida e facile da lavorare.
• Unitela in una ciotola alla carne trita e agli altri ingredienti.

• Impastatela accuratamente. Il dattero si deve unire alla carne, senza restare, possibilmente, in pezzettti. La lavorazione è lunga e richiede pazienza e buone dita, altrimenti usate uno di marchingegni moderni. Io no. 
• farne poi delle polpettine rotonde, vedrete che il dattero rende molto compatto l'impasto.
• Ungere una grande teglia e mettervi le polpette, che vanno infornate a forno caldo (180° / 200°) per circa 15 minuti, facendole rotolare a metà cottura, per rendere omogeneo il calore.
• servire le polpette calde, accompagnandole con riso bollito o patate lesse. Vedrete che faranno un poco di caramello, e anche le piccole bruciacchiature sono gustose.


Per chi ama poco il dolce, basta diminuire la dose di datteri.


E da leggere?

Una cosa a sorpresa così come le polpette con i datteri. Le offrite e uno non s'aspetta quel dolce retrogusto sotto una faccia da osteria italiana.

Così è per il romanzo di Simenon Turista da banane. 


Mica nuovo, l'ho pescato su un banchetto di libri usati. Vi rovina Gauguin per tutta la vita. Mai più Noanoa...
Inoltre, visto il meteo in previsione, un vero capolavoro di Simenon è Pioggia sporca.
Ecco, se leggete questi libri avrete bisogno di datteri, per adddolcirvi. D'altra parte in Belgio (l'aggiungerò quando torno da Venezia, che ci vado domani) vendono una marmellata da formaggio che è fatta di mele, pere e frutta esotica, forse datteri... per quanto piccolo, il Belgio era uno di quegli imperi su cui non tramontava mai il sole.
Il blog si ribella e non mi posta immagini anche se minuscole... perciò i libri ve li cercate voi! :D